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Dai cani ai tartufi, su questo blog si parla di questo. Benvenuti commenti e post interessanti.


mercoledì 18 maggio 2016

IL METICCIO SANMINIATESE DETTO ANCHE "RICCIO DI SAN MINIATO"

Non è facile descrivere questo cane, le cui origini risalgono agli inizi del '900. Astuti tartufai del sanminiatese hanno permesso che questa quasi-razza giungesse fino a noi. Nella foto a lato vediamo proprio un tartufaio degli anni 40-50 alle prese con uno di questi cani. 
Come sia nata con precisione non è dato saperlo, le teorie sono molte, così come le notizie narrate dai "vecchi" tartufai.
Le mie prime esperienze nel campo dei tartufi risalgono a circa 25 anni fa e fu proprio il mio primo maestro a farmi conoscere questa razza.

Soprannominato "Il Moro", questo signore ultrasettantenne aveva proprio due meticci, uno dei quali molto più vicino ai sanminiatesi che si vedono ancora nelle nostre pasture.
Non mi dilungo a descrivere questo mio maestro, potete immaginare cosa combinava in pastura dopo un esperienza pluri-cinquantennale...
Prima delle 09.00 non si iniziava, alle 12.30 pausa pranzo in pastura fatta a metà con i suoi due cani e cerca fino al tramonto. Certe palle di tartufo ragazzi che adesso ce le sognamo... che ricordi... 


Per tornare al nostro meticcino, Il Moro mi raccontava ciò che sapeva e che aveva appreso dal padre, racconti che poi mi sono stati fatti anche da altri, segno che poco discostano dalla realtà.
Ebbene in gioco entra il lagotto romagnolo portato a quanto sembra dai romagnoli che, per lavoro, stazionavano nel sanminiatese. Questi nuovi cani presenti nel nostro territorio finirono inevitabilmente per incrociarsi coi nostri meticci che fino ad allora erano gli attori protagonisti della cerca dei tartufi nel sanminiatese. Tartufi bianchi chiaramente, nessuno si sognava ad andare a marzuoli o scorzone...
Da questi primi incroci lagotto-meticcio (di ogni genere) inizia a diffondersi un cane che poi, molto probabilmente, ha iniziato ad incrociarsi con cani da penna, probabilmente Setter o Breton.
Il tartufaio di un tempo si sa come era, molto riservato, chiuso, schivo, diffidente ecc. Il ricavato della vendita dei tartufi andava ad incidere in modo sostanziale nell'economia domestica, era quindi un'attività da preservare e mantenere. 
Quello che avvenne probabilmente fu una sorta di diversificazione di questi cani, dando origine a più fili di sangue, proprio per non voler cedere la propria "razza" agli altri.
I caratteri che interessavano un po' a tutti hanno comunque fatto si che si delineasse una fisionomia comune a tutti i fili di sangue. Nonostante si notino diverse differenze tra un filo ed un altro, diversi caratteri sono comuni.
Adesso cosa accade a riguardo? 
Esistono più fenotipi, derivanti probabilmente da questa riservatezza "genetica" del vecchio tartufaio. Ci sono di taglia piccola a pelo raso o ondulato, taglia più alta ma con zampe più corte, taglia media con lunghe zampe.
Quello però che accumuna tutti questi meticci sono alcuni particolari che sapientemente e per comodo ci hanno tramandato i vecchi. Tutti hanno il musetto a pelo raso, hanno le zampe a pelo corto e fisicamente portati alla cerca nel folto della macchia. Questi erano, e per molti sono ancora, dei caratteri fondamentali da dover portare avanti.
Viene definita una quasi razza; da genitori selezionati nasceranno sicuramente cuccioli con queste caratteristiche, cambia il mantello, che può variare dal pelo raso all'ondulato lungo, dal bianco candido al pezzato, quasi sempre nero e a volte rosso.
Saggi i "vecchi", a tartufi si va di notte, col buio, il bosco bagnato e il freddo. Serve un cane robusto, col pelo lungo ma non riccio che da problemi, il musetto e le zampe pulite per veder bene cosa succede sotto al naso. I riccioli (cosi definiti i lagotti), si riempono di pallini, di spini, si inzuppano d'acqua e non si vedono il muso e le zampe. Questo era, ed è ancora per diversi, il pensiero dei cani da tartufo nel sanminiatese. Per non parlare dei braccoidi.... neanche regalato!! non se ne parla nemmeno...


La cerca di questo gioiello frutto dell'esperienza pratica dei "vecchi" è di solito brillante, non velocissima ma continua, costante, al passo svelto o piccolo trotto. I maschi sono un po' "testoni", cani di carattere a volte anche molto forte, le femmine molto più pacate, affidabili direi.
Il mio secondo cane è stato un sanminiatese, non proprio tipico ma figlio di "purosangue", nel video sottostante potete vederlo in azione.


Nelle due foto sottostanti potete vedere due fratelli, all'apparenza diversi ma molto simili come indole e carattere, quello bianco e rosso è il mio, uno spasso di cane...
Elemento sempre comune, musetto e zampe a pelo corto, taglia giusta per il bosco anche folto. Uno a pelo raso, l'altro ondulato. I vecchi farebbero riprodurre il manto ondulato, più completo come fenotipo.
Se da una parte la sportività nella cerca dei tartufi ha portato a generazioni di tartufai moderni con diversi pregi rispetto al passato, siamo di fronte ad una perdita sostanziale, la praticità del cane al di là delle mode o degli standard di razza. Questo sta portando ad una diminuzione del meticcio sanminiatese e ad una serie di "neo-meticci". I nuovi tartufai  non tengono conto delle vecchie peculiarità per cui si è evoluta questa "quasi-razza.

Coloro che portano avanti le peculiarità fisiche sono davvero rimasti poco a mio parere, si preferisce far procreare i "cani buoni", incuranti dei caratteri che, ricercandoli, hanno trascinato insieme anche molte altre caratteristiche tra le quali la rusticità e la salubrità dei soggetti. Mai sentito parlare di displasia dell'anca o del ginocchio, o dell'epilessia  in questi cani o di altre patologie genetiche.
Nel mio piccolo c'è un modesto progetto non facile da portare avanti ma in qualche modo può contribuire alla non scomparsa di questo bel cane.
Il meticcio delle valli del sanminiatese...